Nella “metropoli delle angurie”,
paesone di provincia situato alla fine del mondo, dove il caldo umido e
appiccicaticcio dello scirocco tutto avvolge e sconvolge, nasce e cresce un
ragazzino timido che fa sogni abbastanza banali. Quello di fare il calciatore.
Uno alla Van Basten, il suo mito.
Oppure di diventare una rockstar, pelle abbronzatissima, chitarra al collo e
stuolo di fan al seguito. Invece la vita gli ha riservato un futuro diverso.
Colpa del padre, Silvano il barbiere, che non gli ha mai insegnato a suonare la
chitarra. Colpa della madre Rosaria, la Lumacher con la 126 beige, che lo ha
sviato dalla carriera calcistica. O forse solo colpa del destino. Il
protagonista si abbandona ai ricordi, lasciandosi guidare dal flusso dei
pensieri, raccontando un’infanzia in un mondo che appartiene soprattutto agli
anni Ottanta. Le giornate all’asilo con Suor Realina, le estati a Mondonuovo,
in campagna dai nonni, la salsa fatta in casa, il rosario e gli scherzi
ferragostani, Mescia Nena, la nonna paterna, donna tutta d’un pezzo, che
sembrava essere immortale. E ancora i pomeriggi scanditi dall’attesa del
gelataio Nino e le domeniche dalle partite della squadra di calcio del suo
paese. Paese di una terra magnifica e insopportabile, dove pullulano i cervelli
di cemento armato e dove i vecchi materassi si buttano sui cigli delle strade
di campagna. Una terra che è un caffè sospeso. Ricordi, stati d’animo,
riflessioni, rimpianti, per giungere ogni volta alla stessa conclusione:
“Mannaggia Santa Pupa!”
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